mercoledì, ottobre 24, 2007

Studi di Greenpeace... ...Da rifare...

Roma - Suona un po' piccata la replica di Greenpeace a BSEF, consorzio che riunisce alcuni produttori di sostanze chimiche, replica con la quale l'organizzazione ecologista tenta di rigettare totalmente le accuse di aver condotto test imprecisi e poco affidabili sul melafonino.

In un comunicato datato 19 ottobre, BSEF accusava apertamente lo studio condotto da Greenpeace di essere "non corretto". Errate le procedure e le tecniche utilizzate: le conclusioni sarebbero quindi prive di ogni supporto numerico e scientifico. Ma soprattutto, secondo gli industriali, allo stato dell'arte non esisterebbe alcun sostituto per i BFR.

La notizia è finita anche sulle pagine di Gizmodo, sulle quali è poi comparsa una replica ufficiale di Tom Dowdall, che si occupa del sito web di Greenpeace: "Siamo entusiasti del dibattito scaturito dal nostro rapporto - spiega in una lettera - ma ci sono una serie di questioni sul vostro blog (Gizmodo, ndR) che saremmo felici di poter chiarire".

Secondo l'organizzazione ecologista, lo studio pubblicato la scorsa settimana è stato condotto secondo metodologie note e largamente approvate. Le sostanze rilevate, inoltre, sebbene consentite in quelle quantità dalle normative in vigore (RoHS), dovrebbero essere comunque eliminate. Infine, i ritardanti di fiamma potrebbero tranquillamente venire eliminati impiegando materie plastiche inerti.

In una lettera allegata dallo stesso Dowdall, si legge tuttavia: "Se ritenete che ci stiamo accanendo su Apple, date un'occhiata al nostro rapporto del 2006, che riguardava moltissime aziende". Greenpeace si starebbe quindi dando da fare su tutti i fronti, per tentare di ridurre l'impiego delle sostanze pericolose. Certo però, quel rapporto "non ha ottenuto tante prime pagine come quello sull'iPhone".

Insomma, a pensare male non si sbaglia (quasi) mai. Dice Gizmodo: "Perché non pubblicare prima una ricerca completa su tutti i produttori, con riferimenti precisi e chiari sulla metodologia applicata, magari in una rivista scientifica?". E poi, solo a quel punto, lanciare un comunicato stampa per mettere alla sbarra i colpevoli.

Gli fa eco The Register, che pure accoglie le tesi di Greenpeace sui ritardanti di fiamma. Ma, come sottolineato nell'articolo, "dove sono le analisi comparative tra il telefono Apple e quelli Nokia, Motorola, Samsung e tutti gli altri?". Non resta che attendere che Greenpeace aggiorni il proprio studio del 2006.

Fonte: Punto-Informatico.

lunedì, ottobre 15, 2007

Pericolo WIFi? Lo sapremo tra qualche anno...


Londra - Mentre le associazioni di insegnanti inglesi invocano il ritorno ad una connettività cablata, complici genitori combattivi, disorientati da anni di studi contrastanti, la Health Protection Agency (HPA) tenta di placare gli allarmismi sulla possibile nocività del WiFi e annuncia l'avvio di uno studio esplorativo.

È The Guardian a raccogliere le dichiarazioni di Pat Troop, a capo di HPA: "Non sono ancora state effettuate ricerche approfondite riguardo alle questioni connesse all'esposizione delle persone a tale tipo di tecnologia, questo è il motivo per cui stiamo avviando questo programma di ricerca e analisi". Protagonisti dello studio sono manichini equipaggiati con monitor per misurare l'intensità delle radiazioni che colpiscono testa e altre parti del corpo: nel corso di test di laboratorio verranno bombardati da onde elettromagnetiche per simulare scenari reali. Si procederà poi alla ricerca sul campo in scuole, uffici, abitazioni per considerare ogni variabile, dal tipo apparecchio utilizzato all'uso che se ne fa.Ma Pat Troop, pur esprimendo prudenza sui dati finora raccolti e facendo riferimento a misurazioni poco significative, confida in risultati rassicuranti: "Non ci sono prove scientifiche del fatto che le reti WiFi e le WLAN minaccino la salute della popolazione. I segnali sono poco potenti, nell'ordine dei 100 milliwatt sia per quanto riguarda il computer sia per quanto riguarda il router". Risultati che, spiega Troops, sembrano non porre problemi di compatibilità con le linee guida stilate dalla International Commission on Non-Ionizing Radiation (ICNIRP). Ha incoraggiato lo studio esplorativo anche Philip Parkin, segretario generale dell'associazione degli insegnanti inglesi, che invita la HPA ad indagare anche l'aspetto ancora oscuro dei cosiddetti effetti non termici che i campi elettromagnetici potrebbero innescare: scansato ogni dubbio riguardo allo stress termico indotto dalle radiazioni, è possibile che i campi elettromagnetici alterino le funzioni biologiche in maniera inaspettata. "Quello che vogliamo - annuncia Parkin - è un'indagine approfondita che confermi che c'è qualcosa di cui preoccuparsi o che di converso attenui del tutto le preoccupazioni che le persone nutrono nei confronti del WiFi." Nel frattempo, nel Regno Unito come in Germania, si procede con cautela: è il principio di precauzione a calmierare l'uso della tecnologia. Bisognerà attendere almeno due anni per i risultati dello studio della HPA, nel frattempo McDonald's ha già introdotto i nuovi salutari menu WiFi mentre, complice BT, si rimpinguano le schiere dei foneros inglesi.

Gaia Bottà

Fonte: Punto-Informatico

domenica, ottobre 07, 2007

Cellulari-Salute, questa volta le notizie non sono buone...

Roma - Si affrettano a spiegare che sono comunque necessari ulteriori approfondimenti, ma la notizia che i ricercatori dell'Università Medica svedese di Orebro hanno lanciato ieri nel Mondo è esplosiva: a loro dire esiste una relazione evidente tra uso dei cellulari e possibilità di sviluppo dei tumori, un rapporto causa-effetto che fino ad oggi nessuno studio aveva esplicitato con certezza.

Adnkronos, che ha diffuso in Italia la notizia, sostiene che i ricercatori guidati dal professor Lennart Hardell abbiano spiegato come l'uso intensivo del telefono cellulare per un periodo di tempo prolungato, superiore ai 10 anni, raddoppi il rischio di sviluppare tumori come il glioma e il neuroma.

L'agenzia di stampa si riferisce in particolare a quanto pubblicato dagli scienziati sulla rivista Occupational Environment Medicine, dove si parlerebbe di una meta-indagine, ossia di una valutazione di 18 diverse ricerche sul tema, "11 delle quali - scrive l'Adn - riferivano risultati ottenuti con osservazioni a lungo termine, di oltre 10 anni". È valutando quei dati, dunque, che sarebbe emersa la relazione causa-effetto, dove le persone "che usano il cellulare per almeno 10 anni corrono un rischio 2,4 maggiore di sviluppare neuromi acustici", e 2 volte superiore di incappare in gliomi. Nel primo caso si tratta di tumori benigni che attaccano il nervo uditivo, nel secondo si tratta di patologie maligne ben più invasive e di difficile estirpazione.
Così come è riportata, la notizia non sembra confermata dall'Hindustan Times, secondo cui non si sarebbe trattato di una meta-indagine ma di una ricerca vera e propria condotta su 1.429 soggetti colpiti da tumori al cervello benigni e maligni e su un campione di 1.470 persone in salute che vivono in Svezia.

La diversa impostazione non cambia alcune delle conseguenze dello studio. Il giornale indiano spiega come gli scienziati ritengano che i telefonini possano rappresentare un rischio soprattutto per chi abita nelle zone rurali, dove cioè la potenza del segnale viene aumentata per compensare la distanza dalle stazioni base di telefonia mobile. Hardell, secondo il Times, avrebbe dichiarato: "Abbiamo riscontrato che il rischio di tumore al cervello è più elevato per chi vive in campagna piuttosto che in città. Più forte il segnale, maggiore il rischio".

Su una cosa, peraltro, le due versioni concordano, che i rischi sulla salute non possano essere evidenziati prima dei 10 anni di utilizzo intenso.

Dello studio esiste peraltro una terza versione pubblicata dall'agenzia sudafricana News24, secondo cui Hardell&C. avrebbero spiegato come l'analisi di studi precedenti dimostri "un percorso chiaro di aumento di rischio per neuroma acustico e glioma".

La novità, rispetto alle altre "versioni" citate, è che il rischio sarebbe maggiore sul lato della testa che si usa abitualmente per parlare al cellulare. News24 conferma peraltro che di meta-indagine si sia trattato e spiega come questi risultati siano dovuti proprio alla possibilità concessa da questo studio di vedere le cose dall'alto e analizzare le evidenze emerse in numerose diverse tipologie di ricerca.

E Hardell proprio a questo attribuirebbe l'assenza fin qui di una correlazione certa tra cellulari e rischio tumore. A suo dire gli studi precedenti non hanno seguito quanto accadeva per un tempo sufficientemente lungo. "Ma ora è passato abbastanza tempo da quando i cellulari sono stati introdotti - sostiene il giornale sudafricano - per analizzare i rischi dell'uso del cellulare per 10 anni o più, un periodo di tempo che viene ritenuto un minimo periodo ragionevole per valutare il rischio".

Secondo l'Adnkronos, infine, Hardell avrebbe dichiarato che "questi risultati sono di grande rilevanza ma saranno sicuramente necessari ulteriori approfondimenti". Secondo News24, invece, gli approfondimenti saranno necessari "perché un aumentato rischio anche per altri generi di tumori non può essere escluso". Due affermazioni dalle conseguenze evidentemente molto diverse.

Fonte: www.punto-informatico.it